Tuesday, October 17, 2006

Polizziottesco!

Da sempre appassionato al poliziesco all’italiana, fin da piccino quando mio zio Michele mi costringeva a seguire la serie di tutti i film con Maurizio Merli, Franco Nero e Tomas Milian facendomi da balio ad ogni mia influenza alle elementari, sebbene lui poi preferisse Giuliano Gemma e Bud Spencer, ho conservato una sorta di affetto misto a interesse per quel magnifico periodo cinematografico grazie alle ricerche cinematografiche del Collettivo Kalashnikov.
Sicchè ieri sera, grazie ad un nastro vhs avariato e rancido prestatomi dal Doktor Puj, ho conosciuto quello che mi permetto di definire il poliziottesco assoluto.
Si tratta de Il Grande Racket di E. G. Castellari, una pellicola del 1976 che per protagonista ci presenta un Fabio Testi (!) perfettamente a suo agio nel ruolo di un maresciallo di polizia frustratamente schierato contro un racket che impesta Roma fin nelle ossa.
Credo che probabilmente Walter Hill si sia ispirato all’incipit del film di Castellari per alcune scene de I Guerrieri della Notte, come riprese come la serie di fermoimmagine per presentare il Marsigliese, boss dell’estorsione, con musichetta funky piovuta dal niente deve avere per forza influito sui registi dei pulp ridoloni alla The Snatch. E la struttura ad anello del Grande Racket riesce a rendere perfettamente l’idea di umiliazione del senso di Giustizia fronteggiata dalla società, dal popolo, negli anni di piombo. Qui Testi fa si capire che il Poliziotto è Solitudine e Rabbia, non come il bel chiomato Merli.
Quello che colpisce è la sceneggiatura di ferro del film, che riesce a rendere l’idea di un’epopea compressa in due ore, mantenendo sempre un ritmo serrato e teso. E poi…
E poi questo è il blog del mio romanzo, quindi sfrontatamente mi permetto. Certo i personaggi di Castellari sono drammatici, mentre i miei son tragicomici, ma vedere Testi che non riesce mai a concludere un cazzo, oppresso dai superiori, perdente per condizione, riuscire a fare sempre una scelta che per colpa di altro si rivela sbagliata, mi ha posto davanti ad un Camporosso serio. E vedere Testi che a quel punto, perso tutto, mette su una squadra di perdenti e perduti, mi ha fatto pensare un poco alla Brigata Camporosso. E vedere Testi che poi comunque alla fine forse vince, ma forse non vince un cazzo, bene, era proprio una delle sensazioni che volevo rendere, ma trent’anni fa, su un registro e su tematiche diverse, c’erano già arrivati. Che dire poi della manipolazione della massa comunista per minacciare un supermarket che non vuol pagare il pizzo, dunque saccheggiato in nome del proletariato da ingenui che ingrassano invece il cancro della civiltà? E di quando il popolo, becero e bovino, si lascia influenzare dalle menzogne dei fomentatori delle masse per il linciaggio di un rapinatore inerme ed inoffensivo?

Il Grande Racket è il polizziottesco assoluto. Là in alto, con lui, stanno altri film, che però si distaccano dalla propria definizione per irrompere nel noir o nel thriller. Il magnifico Milano Odia-La Polizia non può sparare, di Umberto Lenzi, un nero che racconta del delinquentastro, e per questo ancor più pericoloso, Giulio Sacchi/Tomas Milian; il totale Milano Calibro 9, di Fernando di Leo, un nero che deifica nel pantheon degli antieroi l’unico Ugo Piazza/Gastone Moschin; ed il crudissimo Cani Arrabbiati-Semaforo Rosso di Mario Bava, thriller spietato e senza speranza con un grandioso Don Backy. Si, si, quello di Pregherò.

6 comments:

Anonymous said...

"...Quello che colpisce è la sceneggiatura di ferro del film..." mentre quella del tuo romanzo... mah...
P.S. questo è solo l'inizio, il meglio deve ancora arrivare

Anonymous said...

E' finita la pacchia...

Anonymous said...

Dingo


uè pignòlia va che un romanzo mica ce l'ha la sceneggiatura

( eh vai! un feroce attacco di pignoleria contro Teto, trenta libbre di pignoleria!!!!)

Anonymous said...

Bravo, Dingo!!

Anonymous said...

Vero... ma, dato che dubito Gallonz abbia potuto vedere la sceneggiatura del film, ho dedotto che si riferisse in senso lato all'organizzazione delle scene e dei dialoghi e quant'altro è di solito contenuto nella sceneggiatura e mi sono permesso il lusso di interpretare il termine nella medesima maniera. Tra l'altro se non intendessimo in tale maniera il termine, l'espressione "sceneggiatura di ferro" non avrebbe senso in quanto letteralmente indica (cito da wikipedia ma il vocabolario Treccani riporta grosso modo lo stesso significato) "Quando è rigidamente definita e studiata a tavolino, tale cioè da non permettere alcuna improvvisazione a regista e attori, viene detta sceneggiatura di ferro (nel senso di sceneggiatura bloccata)" cosa che non è possibile valutare semplicemente vedendo il film.

Anonymous said...

DINGO


se nell'arrampicata su roccia sarai bravo quanto lo sei nell'arrampicata sui vetri, Manolo ha da tremare :)