Università Statale degli Studi di Milano.
Giorno di tesi di laurea, tra negri che cercano di piazzarti l'accendino o il braccialetto e giovanotti incamiciati ad un passo dal punto di arrivo di una carriera che comincia solo ora.
Dottori e professori, nella toga nera, coi drappi rossi, annoiati e sufficienti. Il giorno speciale della vita di ogni studente laureando per loro è una noiosa routine di lavoro in cui ascoltare lavori commissionati per burocrazia e considerati meno che inutili.
Il dottorando si siede, seguendo un rito vecchio come le pareti e gli arredi dell'aula napoleonica.
Comincia a parlare della legge, della giurosprudenza, astratta disciplina inesistente nella vita se non nei giornali e nei tribunali.
I parenti fremono, senza rendersi conto che probabilmente non vogliono avere un figlio come gli annoiati sciamani della celebrazione che gli siedono di fronte.
Silenzio.
Il Vecchio sfoglia il tomo redatto dal povero giovanotto incravattato, frutto di sacrifici e fatica e forza di volontà.
Poi il Vecchio permette al giovane di cominciare l'esposizione, senza interessarsene, mentre i suoi colleghi chiacchierano, messaggiano, tornano dalla seduta cacatoria nel cesso accademico. Vale più un pompino fatto bene o essere lì ora?
La Giurisprudenza è una scienza astratta o ha qualche valore pratico? Nel West la legge era dietro la stella sommaria di uno sceriffo. Oggi la legge si discute in tribunale.
Questo pensa il Matto che apre la porta napoleonica con un calcio. Si avvicina alla tavolata, ed apre una raffica di proiettili sui togati. Risparmia solo il dottorando, a quel tavolo.
"Avete sbagliato. Tutto."
Poi si rivolge al giovanotto giurisprudente: "Vedi di non commettere lo stesso errore..."
E se ne va.